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A metà anni 70, reduce dal successo ottenuto calcando, ancora minorenne, per ben tre volte consecutive il famigerato palco del Festival di Sanremo (nel 1969, 1970 e 1971), Nada incominciò a prendere le redini della sua musica e della sua immagine artistica inaugurando un percorso di collaborazioni e di sperimentazione di stili e linguaggi differenti. Una scelta che evidenziò subito la sua versatilità musicale, dote che non l’ha mai abbandonata lungo tutta la sua ancora attivissima carriera e che le consente di essere da più di mezzo secolo una vera garanzia per i cultori della musica d’autore di ogni generazione. Se il primo passo di questa nuova consapevolezza artistica è stato il disco Ho scoperto che esisto anch’io, del 1973, scritto dal suo conterraneo Piero Ciampi, è con l’album successivo, 1930: Il domatore delle scimmie, pubblicato nel 1975 e realizzato insieme alla band prog rock Reale Accademia di Musica, che l’artista toscana diventa a tutti gli effetti una cantautrice, firmando per la prima volta un suo testo con la canzone Sexy Rosa.

Dopo i brani intimi e poetici di Ciampi, questo nuovo lavoro porta nel repertorio di Nada un’ondata di freschezza melodica e perfino qualche sferzata di sarcasmo à la Rino Gaetano, il tutto sublimato dalle ardite armonie e dagli arrangiamenti virtuosi senza ostentazione del gruppo di Pericle Sponzilli ed Henryk Topel Cabanes (quest’ultimo è anche l’autore di quasi tutti i pezzi). La direzione è già chiarissima a cominciare dalla title-track, rientrata poi di diritto in diverse raccolte di successi dell’ex “pulcino del Gabbro” (qui Nada in una foto di repertorio di Pietro Pascuttini), con le percussioni latine riscaldate dalle plettrate ‘calienti’ della chitarra acustica che aprono l’album e sostengono un testo dalle affilate metafore sociali (“Sono il domatore delle scimmie / le ho condotte unite fino qui […] Sono il domatore più importante / ho la frusta psicologica”) enfatizzato dall’interpretazione vocale sottilmente beffarda di Nada che rende ancor più chiari gli intenti. A seguire, sulla stessa scia dell’ironia a sfondo sociale, c’è un altro brano degno di nota, Alte sfere, tra i cui versi si deride chi già si trova o chi comunque spera di accedere appunto alle “alte sfere” della società, la cui unica attitudine sembra esser quella di rimpinzare il proprio stomaco (“Si pensa mangiando a mangiare ancora un po’ / una pancia piena non si sazia mai […] Se guardi in su puoi vedere pance grandi come non ne hai viste mai”). Lo scherzoso testo è ornato dagli altrettanto briosi arrangiamenti, che alternano parti strumentali baroccheggianti a strofe e ritornelli in cui un pianoforte a tinte rock (protagonista di diversi brani) scandisce vivacemente il ritmo. Derivazioni più nitidamente prog si affacciano, invece, in brani come Idea comune o Cinema, i due pezzi che più di tutti riescono a fondere appieno la personalità grintosa della cantante livornese con l’anima musicale della band romana. Sorprendono poi, all’interno del variopinto caleidoscopio di stili e suggestioni che compongono l’album, le intime e delicate doppie voci della ballata folk Lady Onion, che ci mostrano anche il lato più dolce e introspettivo di Nada, a suo agio in queste morbide vesti tanto quanto in quelle delle interpretazioni vocali più spavalde e rock a cui siamo abituati. Altro splendido incontro di parole e note dalla sensibilità felliniana è, inoltre, la favola Il mostro, che narra di un essere deforme, giudicato e temuto per il suo aspetto, benché alla fine gli unici che avevano ragione di averne paura erano “il sindaco e il prete”. Una languida tensione in crescendo accompagna musicalmente la narrazione fantastica, spezzando poi il racconto verso la fine con un bridge strumentale inaspettato che accelera e rallegra prima di una conclusione commovente.

La ricchezza dei temi, l’elevata caratura di scrittura e arrangiamenti nonché la voce più matura ed eclettica di Nada rendono questo LP testimone del precoce e poliedrico talento e della sviscerata e vivacissima sensibilità artistica che diventeranno presto suoi marchi di fabbrica e che le hanno permesso negli anni di rinnovarsi con disinvoltura e naturalezza maturando senza sforzi uno stile riconoscibile pur non restando mai uguale a sé stessa. Un vero peccato, dunque, che quest’album, stampato in poche copie, non abbia avuto buoni riscontri di vendita e non abbia riscosso il successo che avrebbe meritato, precipitando ingiustificatamente nell’oblio e diventando una vera rarità.

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